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Archive for the ‘Eventi’ Category

Un Cristo[…]

E tu finalmente lo vedrai – con i tuoi stessi occhi-

Vero materialmente vero,

A parlarti col linguaggio di se stesso,

Anteriore ad ogni altro parlare:

Con le parole della carne”1

Pier Paolo Pasolini

In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, ho pensato di recuperare questo mio articolo di diversi anni fa.

.Cortometraggio La ricotta del regista Pier Paolo Pasolini

Correva l’anno 2014, dovevo scrivere il mio primo pezzo per il bimestrale “Marla. Cinema alla fine delle immagini” e io, che avevo alle spalle solo collaborazioni con riviste marginali, mi sentivo inadeguata a confronto con le grandi firme della critica cinematografica che facevano parte della redazione. Scelsi, allora, di occuparmi dell’importante mostra, che si teneva in quei giorni a Palazzo Strozzi a Firenze, dedicata a Pontormo e Rosso Fiorentino, per comprendere le ragioni dell’interesse di Pasolini verso questi due artisti, a partire dal mediometraggio La ricotta.

Portare a termine il compito che mi ero proposta, quella volta non fu affatto facile: innanzitutto, per recuperare la poetica di autori che non frequentavo ormai da moltissimo tempo, mi lanciai in uno studio matto e disperatissimo, poi le stesure si susseguirono una dopo l’altra,  e tuttavia continuava a sfuggirmi – mi sembrava – il legame profondo tra i manieristi e lo scrittore corsaro.

L’illuminazione arrivò (cosa che mi succede talvolta ancora) dopo che avevo già inviato il pezzo. Così dovetti pregare Ivan, amico e direttore della rivista, di accettare quest’ultima versione, per quanto mi rendessi conto di apparire, proprio alla mia prima prova, davvero poco professionale. Come se non bastasse, dovette seguirne un’altra ancora (per quell’eterno labor limae che è la mia maledizione). E ancora oggi credo lui si ricordi di quel nostro inizio così traumatico, tanto che, per i numeri successivi, mi chiese in maniera tassativa di non mandargli che un’unica versione, qualsiasi essa fosse.  

Insomma, ora eccolo qua. Lo ripropongo con il suo titolo originale, anche se fu pubblicato come Sono una forza del passato2

Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della “maniera”, la grande mostra di Palazzo Strozzi visitabile fino al 20 luglio 2014, si presenta davvero come un’occasione importante non solo per conoscere i protagonisti di quella fortunata e controversa corrente pittorica che cominciò nel secondo decennio del Cinquecento, ma anche per attualizzare un mai sopito dibattito riguardo la rappresentazione in arte della realtà e il suo rapporto con il trascendente.

In primo luogo, per inquadrare la questione, diciamo che i Manieristi presero le mosse dalla polemica implicita con un interlocutore illustre, a loro antecedente di qualche anno, Leonardo da Vinci, che aveva portato a perfezione la prospettiva e affinato l’uso dello sfumato, riuscendo a integrare perfettamente le sue figure in uno spazio assai realistico per dati cromatici e atmosferici, attuando in questo modo una vera e propria rivoluzione. Con lui si era passati, insomma, da una visione antropocentrica ad una cosmocentrica

Il Manierismo, di cui Pontormo e Rosso Fiorentino furono i capostipiti, rifiutò la rivoluzione leonardesca e, sovvertendo il rapporto uomo- ambiente, tornò a proporre la figura umana in primo piano, fortemente disegnata come nei modelli quattrocenteschi di Botticelli, di Signorelli, o più indietro di Mantegna: la profondità venne annullata; svanirono i tonalismi e gli atmosferismi; la realtà venne prevalentemente rappresentata in forme distorte e innaturali.Pala dello Spedalingo - Wikipedia

Certo, rispetto alla felice stagione dell’Umanesimo, il clima era profondamente mutato, complici gli alterati equilibri geopolitici e socio-culturali, la crisi dell’eurocentrismo in seguito alla scoperta dell’America, la scissione all’interno del mondo cristiano operata dalla riforma luterana, ai quali si aggiunse infine il trauma del Sacco di Roma del 1527.

Di conseguenza, ora prevaleva una percezione drammatica dell’esistenza e anche la ricerca espressiva divenne problematica, tesa a rivelare una visione ambigua e non conciliata del reale, che si traduceva a livello iconografico con la linea spezzata o serpentinata, gli effetti cromatici surreali e la forzatura espressionistica

Ne la Madonna e quattro santi di Rosso Fiorentino, ad esempio, se i personaggi tornano prepotentemente allineati in prima fila, l’“estenuazione verticale dei corpi”3 (Barilli), la magrezza scheletrica di S. Gerolamo con quelle mani artigliate, le espressioni allucinate dei visi dagli occhi infossati e cerchiati comunicano un senso di disagio e inquietudine. Nonché una religiosità ben poco ortodossa. Infatti venne addirittura rifiutata dal committente perché, come raccontava lo stesso Vasari, “gli parvero […] tutti quei Santi, diavoli; avendo il Rosso costume, nelle sue bozze a olio, di fare certe arie crudeli e disperate”.

Se non proprio allucinate, di certo dolorosamente attonite sono le espressioni dei personaggi che, con aereo volteggio, si avviluppano con rimandi di gesti e colori nella Deposizione di Santa Felicita di Pontormo. Quasi privi di vita, sospesi fuori del tempo e in uno spazio in cui risulta assente l’elemento simbolico della croce (troppo in contrasto con la rappresentazione morbida e plastica di quei corpi), la loro tristezza così disperata non sembra cristiano dolore, come giustamente ha notato Briganti4, forse accogliendo la voce di un Pontormo eretico. Anche per questo su di lui si era abbattuta la pesante riprovazione del biografo aretino che motivava le scelte stilistiche del pittore quasi esclusivamente come il frutto di un temperamento bizzarro e stravagante (“non avendo fermezza nel cervello andava sempre nuove cose ghiribizzando”), saturnino e melanconico, oltretutto influenzato negativamente dalla maniera tedesca di Durer (“Or non sapeva il Puntormo che i tedeschi e’ fiaminghi vengono in queste parti per imparare la maniera italiana?”).Deposizione (Pontormo) - Wikipedia

Seppure non lo manifestasse a chiare lettere, anche Vasari, però, doveva avere intuito il portato scandaloso profondo della pittura dei nostri due artisti, al di là delle scelte espressive e delle letture simbologiche: nelle loro opere, il dualismo tra mondo della trascendenza e quello della realtà, infatti, è tutto sbilanciato a favore di quest’ultima, come risulta evidente se si osserva il Cristo morto di Rosso (ora conservato al museo di Boston), con quel suo corpo massiccio, muscoloso, carnale e gigantesco che occupa tutto lo spazio del quadro relegando gli angeli nella semioscurità. La kenosis, lo “svuotamento”, la rinuncia di Cristo alle sue prerogative divine, diviene una celebrazione assoluta della sacralità della persona umana. Uno scandalo.

Scandalo che, a quattro secoli di distanza, uno sperimentatore, un antinaturalista per sua stessa ammissione, un empirista eretico, come Pier Paolo Pasolini, ha compreso benissimo tanto che, nel suo mediometraggio La ricotta (1963), lo ha riproposto con operazione analoga.Cristo morto compianto da quattro angeli - Wikipedia

Così, proprio in apertura di film, si vede una troupe impegnata a girare due scene attraverso la modalità inconsueta di tableaux vivants, che riproducono meticolosamente, nei colori, nelle forme, nella disposizione, le celeberrime Deposizioni di Pontormo e di Rosso Fiorentino: “Il Pontormo, il Rosso Fiorentino dipingevano la crocifissione però, evidentemente nel loro fondo erano diabolici, erano miscredenti”5, afferma Pasolini in un suo intervento. La personalità maledetta dei due artisti si può iscrivere allora nell’ottica del suo alter ego, il regista interpretato da Orson Welles, che lui volle insistentemente come suo doppio caricaturale (“un me stesso andato al di là dicerti limiti e caricaturizzato”6).La ricotta (episodio di Rogopag)" di Pier Paolo Pasolini - NonSoloCinema

Anche se l’identificazione risulta poi ambigua: da una parte, Welles ha la funzione dichiarata di esorcizzare lo snobismo intellettuale di Pasolini “uomo colto, estetizzante, cinico”; dall’altra, appare come suo sincero portavoce, soprattutto quando all’ottuso giornalista di “Teglie sera”, confessa il “suo profondo intimo arcaico cattolicesimo” e nel declamare i versi di una sua poesia, fa la sua più consapevole e disperata dichiarazione di poetica: “Io sono una forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore”.
“È un’idea sbagliata – preciserà poi lo scrittore corsaro in un’intervista – quella che io sia un ‘modernista’. Anche i miei più seri sperimentalismi non prescindono mai da un determinante amore per la grande tradizione italiana e europea”7. E lo si capisce benissimo ne La ricotta, appunto, anche se al tempo, il film subì un processo per vilipendio alla religione cattolica.

Venne ritenuto oltraggioso che l’autore avesse in modo irriverente turbato l’atmosfera divina delle rappresentazioni con un blasfemo twist suonato per sbaglio invece della musica di Scarlatti, con i richiami dell’aiuto-regista e i lazzi degli attori che interrompono la recitazione della Lauda di Jacopone da Todi, e, soprattutto, col Cristo che cade a terra suscitando un’ilarità sguaiata e contagiosa.

La blasfemia pasoliniana, tuttavia, è ben più complessa e profonda: il ladrone buono, infatti, è interpretato da una comparsa, Stracci, un sottoproletario romano dalla fame atavica che, per vari accidenti, non riesce a mangiare la sua ricotta. E anche se la sua vicenda viene narrata prevalentemente attraverso il registro della commedia e della comica, lui è il vero santo, anzi, è figura cristologica (la terza dopo Accattone e l’Ettore di Mamma Roma), la cui Passione autentica (in un bianco e nero rudimentale che contrasta polemicamente col cromatismo kitsch dei quadri viventi), fatta di solitudine (è lo zoom in avanti a mostrare un isolamento non di scelta, ma di condanna) e derisione, si conclude letteralmente sulla croce. Mentre è crocifisso, muore a causa dell’indigestione (ancora l’alternanza alto/basso) che si è procurata abbuffandosi spasmodicamente su istigazione della troupe divertita e irridente.
Stracci sulla croce. Scene estratte dal film la Ricotta di Pier Paolo... | Download Scientific DiagramSolo con la sua morte, però, epica e tragica insieme, che irrompe scandalosamente nel mondo inautentico del set, Stracci riacquista la sua dignità di essere umano e gli opposti finalmente si riconciliano: l’alto e il basso, il sacro e il profano. Leresia cristiana di Pasolini è tutta qui: il sistema tolemaico sacrocentrico viene oltraggiato da un Cristo i cui attributi kenotici risultano così radicali da coincidere necessariamente con l’uomo, la cui santità, più antica di qualsiasi fede, è data dal suo amore per la vita.

Povero Stracci, crepare! dice Welles a suggello della vicenda Non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo!

1 Pasolini Pier Paolo, Bestemmia (Tutte le poesie), vol. 2 Garzanti, 1993

2Bondavalli Elisa, “Sono una forza del passato”, “ Marla. Cinema alla fine delle immagini” , n.1, aprile/maggio 2014.

3 Barilli Renato, Maniera moderna e Manierismo, Feltrinelli, 2004, pag. 56

4 Briganti Giuliano, la Maniera italiana, Roma, Editori Riuniti, 1961

5 AA.VV, L’arte del Romanino e il nostro tempo, Brescia, Grafo, 1976

6 Pasolini Pier Paolo, “Una discussione del ’64”, ora in Pasolini nel dibattito culturale contemporaneo, 1977, pag.100

7 Pasolini Pier Paolo, “Vie nuove” n.42, 18 ottobre 1962

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Disponibile su Amazon.

Dall’introduzione del direttore Demetrio Salvi.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "malpelo m alp incontri recconti e storie di Djani Mirchev Andrea Vinco Roberta Prosperi Bruno Schiav oni Anna Grazia Cervone Cevoli Naomi Leone Biricotti Fabrizio Battisti Antonella Renzi Antonio Avossa Francesco Catapano Giuliano Tomarchio Diego De Giorgi Elisa Bondavallı Federico Capuano Raffaele Acunzo Flavia Luigi Franzese Bernardo Rossi Ho n°1 RIVISTA LETTERARIA I|'COPIAlI COPIA SMOICESIMA"

Questa non è un’altra rivista letteraria, perché di riviste letterarie ce n’è sempre bisogno, perché fanno parte di quel mondo affine al cibo, al godimento, di cui non se ne può fare a meno e di cui ce n’è sempre voglia, sempre desiderio.

Certo, abbiamo scelto un contenitore complesso e ben poco pacifico. Nascere “con” e “dentro” Amazon rende tutto un po’ più complicato: bisogna accettarne le regole, le strategie talvolta perverse e condividere (ma entro certi limiti!) quelle che sono le sue vicende (talvolta ben poco condivisibili).

Eppure non possiamo fare a meno di godere di quella libertà che pure questo strumento mette a disposizione: ci andiamo a collocare in quell’area di felicità che pure, in qualche modo, questa piattaforma genera. Alle strategie di Amazon opponiamo le nostre, corrodendo dall’interno ciò che possiamo aggredire, forare, divorare. Il progetto, insomma, ci piace: ci permette un grado interessante di libertà di movimento e ci garantisce una velocità d’esecuzione per niente trascurabile.

Malpelo è un crogiolo di sentimenti, di spinte che rischiavano di rimanere inespresse, uno spazio che permette di agire anche a chi è fuori da certe dinamiche commerciali della scrittura. Ciò che garantiamo è l’attenzione al lettore, un’attenzione vigile che evita lo sguardo solipsistico, che mira a tenere in considerazione l’intenzione e il godimento dell’altro. Meno ombelico e più interazione, dinamiche di coinvolgimento, emozioni condivise.

Si parte da uno spunto, da un argomento e lo si declina lasciando a ogni scrittore la possibilità d’intervenire a suo modo, mettendo in gioco eventualmente anche quelle che sono le dinamiche legate ai generi letterari. Iniziamo con “un incontro”, punto di partenza di questo primo numero e sollecitazione letteraria provata, negli anni passati, durante certi corsi di sceneggiatura tenuti a Roma e in tutta Italia. Uno stimolo utile a confrontare ciò che immaginiamo e ciò che viviamo (al tempo la proposta si articolava in due fasi: veniva chiesto agli allievi di scrivere prima un testo su di un incontro immaginario poi su un incontro realmente vissuto, proprio per stimolare l’attenzione su come i due mondi, in realtà, siano un mondo solo). Qui, in questo primo numero, ritroverete alcune di quelle prove realizzate e messe assieme ad altre, più recenti, utili a generare una piacevole confusione tra passato, presente, realtà altra, articolazione impropria di un discorso che va avanti e che mette assieme ex allievi di questi corsi con altre scritture, di recente acquisizione.

A racconti drammatici si accostano storie più legate al mondo giovanile, che diventa territorio particolarmente interessante da attraversare. Oppure sono i generi letterari a far mostra dei propri colori, dei propri sapori. Oppure ancora è la poesia, quella più tradizionale e severa, che si fonde con testi in prosa che nascondono, tra le loro pieghe, i ritmi della lirica e metafore più ardite.

Ci piace immaginare che questa rivista si porti dentro il piacere del viaggio, della scoperta ma anche della difficoltà che, talvolta, uno spostamento impone. Improvvisi cambiamenti di programma, necessità del tutto nuove, l’imprevedibile opposizione del tempo: tra un racconto e l’altro è possibile godere di queste fratture repentine, di certe incongruenze che sono tipiche del viaggio reale. Stili diversi animano storie che vivono spalla a spalla. Questi continui tradimenti al movimento consequenziale e lineare fanno parte del nostro piacere.

Questo appartiene alla rivista che state per leggere. Arricchiremo nel futuro queste pagine con recensioni e con aree vicine al disegno, al fumetto, all’illustrazione. E vi garantiamo che saremo pronti a cambiare la nostra rotta se il desiderio ci spingerà, forte, da un’altra parte.

Siamo pronti a partire, a cambiare direzione, a realizzare gli scarti necessari a rendere emozionante un percorso da condividere, capace di mettere assieme scrittori e lettori.

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Elisa Bondavalli © febbraio 2021

Questa è la storia di Limpo e di come un giorno riuscì ad avere il suo frac; e se il vostro maestro per caso vi dovesse dire che è una storia un po’ strana e che queste cose non capitano mai, ebbene, tanto peggio per lui, mi dispiace. Tutto quel che vi resta da fare, ragazzi, è di cambiare senz’altro maestro. E di dirgli di aprire più gli occhi./ Ma voi intanto aprite bene le orecchie. Ecco qui.

Il pinguino senza frac e tobby in prigione | 962

Con questo disinvolto e accattivante incipit, D’Arzo invita i lettori più giovani a sospendere l’incredulità e ad abbandonarsi senza remore alla sua narrazione. D’altra parte, già il suo editore Vallecchi, con felice intuizione, gli scriveva: “Con la vostra fantasia, che si accende anche nelle occasioni più modeste, mi sembra che potreste riuscire brillantemente anche nel settore della letteratura infantile1.

Sicuramente non si sbagliava, visto che Comparoni (questo il vero nome dello scrittore), ci ha regalato tre proveoriginalissime per intreccio e soluzioni linguistiche. Che poi lui non considerasse la narrativa per l’infanzia un genere minore e non intendesse comporre semplici intrattenimenti per bambini, è cosa nota già a partire dal suo saggio critico Kipling senza trombe 2, dove afferma che scrittori come James Barry e Charles Kingsley, con le loro due favole, hanno raggiunto i loro risultati più alti e duraturi.

E a conferma di ciò, scrive a Vallecchi: “[…] E poi ho scritto un breve libro per ragazzi, che, ti giuro, mi ha divertito e riposato assai: Il pinguino senza frac […] Questa storia, dico, scritta per ragazzi, mi ha servito a chiarire molte cose”3.

Il racconto ha quindi come protagonista il piccolo Limpo, troppo povero per avere come gli altri pinguini un frac (ancora in controluce il motivo autobiografico), per cui viene emarginato e allontanato da scuola. Decide così di abbandonare i genitori e andare in cerca di fortuna lontano da casa. Forestiero ovunque e senza nome, chiamato “Cosa sei”, “Tutto un po’”, Suppergiù” da gabbiani, foche e trichechi, con cui intrattiene varie attività commerciali, a poco a poco comincia a mettere da parte i soldi per comprarsi la tanto sospirata marsina. Ad un certo punto, però, si rende conto che il denaro non basta, gli occorre anche un’istruzione: “Ma che sciocco! Che sciocco – pensò Limpo. Mentre io me ne sto qui a lavorare dalla mattina alla sera, gli altri intanto se ne vanno a scuola ogni giorno, e finisce così che s’imparano un bel mucchio di cose. Così io, quando potrò finalmente tornare e, magari, comprare anche il mio frac, farò ridere tutti lo stesso4.

Cambia pertanto sistema e quando foca, tricheco, renna, pinguino, gabbiano gli vogliono pagare quel che gli devono, lui ne prende la metà e dice. “Tenetevi pure il resto, signori. Sciocchezze… Semmai, quando ne avrete il tempo e la voglia, mi favorirete di dirmi perché…5. Così Limpo inizia il suo percorso verso la conoscenza: passano i mesi, mentre il pinguino apprende sempre di più, fino a quando quasi si sente pronto per tornare a casa. Gli resta, però, da scoprire un’ultima cosa.

Si chiede infatti perché il solo orso, tra tutti gli animali, sia esente dal dolore e dalla paura. Indubbiamente – si dice – perché è un essere forte e invincibile, temuto da tutti. Un giorno, però, lo stesso orso incontra la morte per mano di un animale ancor più terribile, l’uomo, a cui basta alzare le braccia per uccidere: “Il grande Orso spiccò un balzo in avanti e poi cadde sulla campagna di neve: si agitò, si contorse, diede un ultimo urlo tremendo, e poi si distese. Era morto. Attorno al suo corpo la neve cominciò a tingersi tutta di rosso. I quattro orsacchiotti cominciarono a piangere. Lo annusavano, lo leccavano da tutte le parti, gli soffiavano dolcemente sul muso […]. Dal crepaccio del monte uscirono quattro o cinque uomini guidando una slitta e dei cani: si presero i quattro orsacchiotti, legarono per le zampe il grande Orso e se lo trascinarono via6.

Tutti gli altri animali festeggiano la scomparsa del grande nemico: ballano tutta la notte, cantano, urlano e fanno chiasso. Solo Limpo sta in disparte, turbato, e ripete fra sé e sé: “Ma Dio mio… ma Dio Mio. Quei quattro orsacchiotti che voce…”7.

Pensa allora che sia l’uomo il solo essere vivente esente dal dolore, ma un giorno anche lui trova la morte a causa di una forza superiore, in questo caso quella della Natura sotto forma di tempesta. “Sulla riva un gruppo di uomini guardava laggiù, in mezzo al mare. E in mezzo al mare, ma fissando ben bene, Limpo finalmente riuscì a vedere un altr’uomo. Le onde, nere o azzurre o verdastre, lo scagliavano da una parte e dall’altra; due, tre volte, e poi dieci e anche di più, e l’uomo spariva, appariva, spariva; e via ancora così.

Dalla riva gli uomini non distoglievano un momento gli occhi da lui e anche Limpo non faceva che guardare e guardare. 

All’improvviso, due o tre ondate giganti si alzarono e poi si abbatterono subito; e poi niente: e poi ancora niente; e infine anche il mare si venne a poco a poco calmando. E adesso era proprio come ogni giorno. E l’uomo, ecco, era sparito.

– Che cosa curiosa, però. Come l’orso, – disse Limpo. Anche questa non me la sarei mai immaginata mai e mai. Anche “lui” è morto così; come l’orso.

In mezzo al gruppo di uomini due o tre piccoli si misero a piangere.8

Di nuovo gli altri animali fanno festa, perché anche l’ultimo nemico, il più terribile, è stato eliminato. Limpo, invece, entra in una crisi profonda (ma la crisi, come ci ricorda Pasolini, è sempre una forma di salvezza) al punto che rischia di ammalarsi, di diventare pazzo, tanto è traumatico quello che ha visto: “Sì… sì. È proprio così. Quei poveri piccoli d’uomo, però, – pensava Limpo con grande tristezza, – la stessa voce dei piccoli d’orso… E dei piccoli di foca e gabbiano e pinguino e di tutti…9.

Limpo completa così il suo percorso conoscitivo nel momento in cui comprende che la sofferenza è la legge stessa dell’universo e nessun essere vivente ne è immune. La sua formazione, di fatto, si conclude qui, anche se lui ancora non ne è pienamente consapevole. Avvilito e senza nemmeno il frac, decide che è comunque ora di avviarsi verso casa. 

Il pinguino senza frac - un'edizione di lusso

Anche perché non ha più niente da condividere con l’ambiente circostante: le morti a cui ha assistito, anziché rallegrarlo, come succede a tutti gli altri, lo gettano nello sconforto più nero, avendone intuito la valenza universale.Solo lui, il pinguino, per usare le parole dello stesso Leopardi, ha ormai “il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza […] e accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa ma vera”10.

Se gli animali intorno a lui vivono in maniera inconsapevole le dure leggi dell’universo e non arrivano a comprenderne la portata, Limpo, altro straordinario straniero darziano, approda invece a una consapevolezza lucida dei meccanismi di una realtà tragica quanto immodificabile. In questo senso risulta essere il doppio del prete di Casa d’altri (peraltro i due racconti sono coevi), che non solo patisce il dramma della vecchia Zelinda, ma lo universalizza, consapevole che la vita è sempre condizione di precarietà ed estraneità e il mondo è una dimora che non è stata creata per noi, per tornare ancora al Leopardi del Dialogo della Natura. È una casa d’altri, per l’appunto. Il merito di aver capito, l’approdo a quel sentimento virile della vita (di cui D’Arzo parla a proposito di Maupassant) distinguono quindi il pinguino dalla società in cui vive: non per niente, una volta tornato a casa, si accorge di avere indosso l’ambito frac: “il più morbido e bello e distinto e elegante e lucente che fosse mai dato vedere: un frac da domenica; proprio con la catena dell’orologio per giunta”. È la conquista della dignità, di cui il frac è evidente correlativo oggettivo: “e tutti gli altri erano poveri e goffi, e al confronto facevano pena. Non valevano l’ombra di un soldo11.

Torna al Teatro Biondo ''Il pinguino senza frac'': una fiaba moderna per  adulti e bambini | Giornale Cittadino Press

NOTA DELL’AUTRICE: Questo è il testo preparatorio al mio breve intervento per il comune di Montecchio Emilia in occasione dell’anniversario darziano del 6 febbraio 2021. Chi fosse interessato può trovarlo qui sotto.

1Silvio D’Arzo- Enrico Vallecchi, Carteggio 1941-1951. Contributi annoVIII 1984, nn.15-16 Biblioteca A. Panizzi, di Reggio Emilia, Mucchi editore, Modena, 1984, lettera n. 31 di Vallecchi, pag. 72. Ora in Lettere, MUP, Parma, 2004, pag.39.

2Kipling senza trombe, in Contea inglese, a cura di Eraldo Affinati, Sellerio, Palermo, 1987

3Cfr. Carteggio D’Arzo- Vallecchi, lettera n.119; edizione MUP, pag.174

4Silvio D’Arzo, Il pinguino senza frac e Tobby in prigione. Illustrazioni di Alberto Manfredi, Einaudi, 1983; pag.26.

5Ibidem, pag.26.

6Silvio D’Arzo, Il pinguino senza frac e Tobby in prigione. Illustrazioni di Alberto Manfredi, Einaudi, 1983; pag.32

7Ibidem, pag.35.

8Ibidem, pag.39.

9 Ibidem, pag.40

10Giacomo Leopardi, Operette morali, Dialogo di Tristano e di un amico, Bur, 2008.

11Ibidem, pag. 50.

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