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LA BIBLIOTECA DI CASTELNOVO CAMBIA NOME E SI INTITOLA A RAFFAELE CROVI

La nuova intitolazione della biblioteca comprensiva di Castelnovo a Raffaele Crovi, proposta dalla professoressa Clementina Santi e da Andrea Casoli (stretto collaboratore dello scrittore negli ultimi anni alla casa editrice Aragno), vuole essere un meritato riconoscimento della figura poliedrica di un grande intellettuale, originario di Cola di Vetto, che è stato narratore, editore, poeta, critico letterario, redattore, produttore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi.
Un doveroso omaggio, quindi, ma anche un modo per ringraziare la famiglia dello scrittore di aver donato alla biblioteca castelnovese oltre 5000 volumi dal suo patrimonio librario.
Così, sabato 1 dicembre, prima dello scoprimento della targa, al teatro Bismantova, si è svolta la cerimonia inaugurale che ha preso l’avvio con i saluti dell’assessore alla cultura Correggi e le parole di Vera Romiti, consigliere della Provincia di Reggio Emilia, di Guido Tamelli, direttore generale della Banca di Cavola e Sassuolo, e, naturalmente, del sindaco Gian Luca Marconi, che ha voluto sottolineare come Crovi, scomparso nel 2007, sia stato non solo un protagonista importante della cultura italiana a partire dalla seconda metà del Novecento, ma anche un sensibile “cantore della sua terra”.
Sono seguiti, poi, gli interventi di Loriano Macchiavelli, Bianca Pitzorno e Giovanni Lindo Ferretti coordinati dal direttore amministrativo del teatro, Emanuele Ferrari.
Sia Macchiavelli che la Pitzorno hanno voluto ricordare subito, con gratitudine, chi li ha lanciati nella loro carriera, rispettivamente di giallista e scrittrice per ragazzi. Soprattutto la Pitzorno è riuscita a restituire un ritratto a tutto tondo della personalità di Crovi fin dai tempi in cui si erano conosciuti mentre lavoravano in RAI. Ha raccontato di lui (l’unico capo che abbia avuto durante tutta la sua carriera), che aveva il carisma dell’esempio (era approdato alla RAI dopo molte esperienze in editoria) e l’autorità del comando, con la quale incitava, proprio loro, giovani sessantottini, arrivati col desiderio di cambiare il mondo e quindi anche la produzione culturale dell’emittente televisiva, a fare molte cose diverse e audaci, perché “cultura – aveva affermato già nel ’72 – è rifiuto degli schematismi ideologici, è scandalo della verità (e della contraddizione), è pluralismo, è anticonformismo, è contestazione del potere, è, infine, utopia”.
Così la Pitzorno, pur confessando come il tirocinio sotto Crovi non sia stato dei più semplici e come l’abbia anche fatta piangere con alcune delle sue celebri sfuriate, tuttavia quel periodo è rimasto, nella sua esperienza, formativo e stimolante dato che proprio lo scrittore emiliano, da sempre lettore onnivoro con un istinto infallibile per tutte le novità rilevanti sia letterarie che sociali, l’aveva introdotta nel panorama letterario italiano più all’avanguardia.
Giovanni Lindo Ferretti, che ha incontrato Raffaele solo verso la fine della sua esistenza, ha raccontato che di certo è stata la persona più informata dei fatti che lui abbia mai conosciuto: “quando lui parlava, parlava di ciò che tutti sapevano, di ciò che qualcuno intuiva e di ciò che tu non avresti mai pensato. Fino al livello del pettegolezzo. Sapeva tutto, era curiosissimo di tutto”. Un giorno gli fece un vero e proprio interrogatorio sulle cose che lo riguardavano.
La conoscenza di Crovi avvenne in modo abbastanza casuale, tuttavia fondamentale fu la mediazione di Silvio D’Arzo. Crovi amava tantissimo Casa d’altri, e aveva molto apprezzato una piccola presentazione di Ferretti per la biblioteca di Cavriago. Era inoltre intrigato dal fatto che Giovanni Lindo fosse parente di Ezio Comparoni (vero nome di Silvio D’Arzo) e forse fu per questo che ne fece uno dei protagonisti del suo romanzo Appennino. A teatro, Ferretti ci ha raccontato della simpatia che si è poi sviluppata tra loro, pur nella differenza di personalità, di percorso, di esperienze, di età, ma anche delle tante affinità, non ultima quella di essere “entrambi legati ben saldi alla terra, alla famiglia, alla storia che li ha generati: due montanari mai fermi nel loro posto saldo; uno reduce, l’altro col mito di Bismantova e i suoi prati. Due montanari scolpiti e inchiodati dalla parola”.
Nei testi di Crovi, di certo, come ha evidenziato il grande italianista Raimondi a proposito del suo libro più famoso, quello che ha vinto il Campiello, La valle dei cavalieri e di quello che è unanimemente considerato il suo capolavoro, Le parole del padre, “c’è un’esperienza così ampia che va al di là della scrittura e immagina anche la civiltà oltre e dopo la scrittura. Il luogo, allora, diviene il luogo dell’origine, il luogo della mente, un atto di fedeltà che rappresenta il segno di un’autentica apertura al mondo”.
Apertura al mondo che in Crovi, l’abbiamo sentito, è anche e soprattutto apertura all’uomo sia nella sua dimensione pubblica che privata.
Ancora la Pitzorno ha ricordato la grandissima disponibilità e generosità dello scrittore emiliano: “tantissime – ci ha detto – erano le persone che andavano a trovarlo e tantissime quelle che avevano esperienza di vita che lui invitava a scrivere. Era una forma di democrazia, non il patrocinio di un’élite che fa cultura e si arrocca nel suo castello con sentimento di superiorità. Allo stesso modo, i libri che arrivavano in ufficio erano a disposizione di tutti, anche del fattorino che veniva a consegnare la busta, al quale diceva: ‘guardi è uscito un libro molto bello, lo vuol leggere?’. A casa sua, aveva, vicino all’ingresso, una cassapanca (quella che è stata riprodotta nell’invito) ricolma di tomi che donava poi a coloro che aveva invitato a cena. Quindi i libri, grazie a lui, circolavano. Non solo i suoi, ma i libri di tutti, quelli che aveva fatto nascere, quelli che venivano da fuori, quelli più strani (è stato uno dei primi ad apprezzare la letteratura sudamericana prima che Marquez, col realismo magico, diventasse di moda). Io penso, allora, che i libri donati alla biblioteca non possano fare altro che continuare questa sua operazione, che debbano (e ci riusciranno) far venire voglia di leggere, ma anche di scrivere; che debbano far venire voglia di allargare l’orizzonte: è sicuramente un bene partire dalle proprie radici, Cola, Castelnovo Monti, ma è necessario anche viaggiare nella cultura del mondo. Io ho fiducia che questi 5000 volumi possano farlo e siano una preziosissima opportunità per questo posto”.

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D’Arzo, Bertolucci e l’Appennino. Cosa rappresenta questo territorio per lo scrittore e per il poeta? Cos’hanno in comune? E’ quello che il sindaco di Collagna, Paolo Bargiacchi, e la curatrice, professoressa Clementina Santi, col convegno del 16 agosto a Cerreto Alpi, per il sessantesimo anniversario della morte dello scrittore reggiano, invitando Elisa Bondavalli (L’Appennino tra D’Arzo e Bertolucci), Gabriella Palli Baroni (Paesaggio d’Appennino profondo nella poesia di Attilio Bertolucci), Stefano Costanzi (Casa d’altri: la pratica della scrittura e la scrittura come etica in Silvio D’Arzo) e Alfredo Gianolio (Divagazioni intorno a Casa d’altri e dintorni), si sono proposti di indagare.
Cerreto Alpi per D’Arzo, lo ricordiamo, è il luogo nativo di sua madre, quella Rosalinda Comparoni che aveva dovuto abbandonare i suoi monti per trasferirsi in città e allevare tutta sola il figlio illegittimo che portava in grembo, che poi le renderà il suo supremo omaggio di scrittore immortalando lei e il suo paese natale nel capolavoro Casa d’altri.
Anche Casarola, nell’Appennino parmense, per Bertolucci è testimone di un profondo legame ancestrale: qui si trova la casa di famiglia costruita e poi abitata da generazioni prima di lui, come ci racconta in chiave epico-lirica ne La camera da letto.
Luoghi d’origine, quindi, ma, ancor di più, come ho evidenziato nel mio intervento, luoghi archetipici, nel loro essere remoti, impervi, resistenti; luoghi dove la fatica di vivere, soprattutto in passato, poteva diventare così alienante da essere uguale a quella degli animali, e pertanto non degna di essere vissuta (Casa d’altri); luoghi dove la pazienza è il valore essenziale e morale, perché atavica capacità d’adattamento, che nella sua prerogativa di tenacia per il compimento di un’opera, anche ordinaria come il restauro di un tetto, o di dedizione ad una mansione, anche umilissima, come quella di raccoglitrice di patate, diviene l’unico baluardo possibile all’assedio del tempo (Bertolucci).
E ancora, l’ho voluto sottolineare, luoghi epifanici, dove si può anche pensare di trovarsi ai confini del mondo (sempre Casa d’altri); dove il paesaggio acquista significato anche semplicemente attraverso gli accesi colori autunnali che la morta stagione si appresta ad inghiottire, quando “… un cielo vulnerato qua e là da lame preautunnali nell’ardore del giorno ci parla dell’approssimarsi di una stagione non mite” (Bertolucci, da Viaggio d’inverno), diventa correlativo oggettivo della nostra condizione umana.
Il convegno, quindi, come occasione non solo per ricordare due dei maggiori e più originali esponenti della nostra letteratura, ma un’opportunità per riscoprire i nostri posti, per guardarli con occhi diversi e nuovi, come ha confermato anche l’organizzatore, Paolo Bargiacchi, che si è dichiarato molto soddisfatto dell’esito dell’evento e della numerosa affluenza di pubblico:
P.B. “ Abbiamo dato vita a una buona, e a me pare anche riuscita, nonché doverosa e dovuta iniziativa insieme all’Associazione scrittori reggiani. Ho apprezzato la profondità e la serietà dei vostri contributi: voi oratori eravate di assoluta qualità nel panorama di quelli che si occupano specificamente di questi due scrittori”.
D- E’ stato anche un grande, e forse inaspettato, successo di pubblico…
P.B. “Sì, la grossa partecipazione in un giorno come il 16 di agosto, anche se forse era appetibile venire a trascorrere un pomeriggio in montagna, in un luogo così fortunato dal punto di vista ambientale, oltre a testimoniare quanto ormai D’Arzo sia sempre più conosciuto, mi conferma la validità di questa iniziativa.
A un sindaco, infatti, spetta il compito, tra gli altri, di trovare e fornire nuovi spunti e nuove scintille per far amare i luoghi che amministra, oltre che curarne, ovviamente il buon governo.
Promuovere, dunque, un incontro che faccia riscoprire queste case e questi paesaggi attraverso le parole di un grande, grande davvero (purtroppo strappato alla vita in troppo giovanile età – a soli 32 anni – da una forma di leucemia che la medicina oggi avrebbe potuto guarire) corrisponde sia a diffondere la conoscenza di uno scrittore locale che ha saputo portare il proprio luogo d’origine nel panorama di quelli nazionali e non solo (pensiamo alle traduzioni di Casa d’altri in inglese, francese e tedesco, perfino in olandese, come ci ha mostrato Costanzi), sia a suggerire a tutti coloro che hanno voluto fare questo percorso attraverso le voci dei relatori, uno sguardo diverso, nuovo, oserei dire, e lo dico, “letterario” di questi luoghi (penso che non sia casuale che in questo piccolo, grande paesino, possiamo annoverare in poco più di mezzo secolo oltre a Silvio D’Arzo, un passaggio importantissimo e frequenti, successivi ritorni di Cesare Zavattini; qui sono le origini di Joe Sentieri; qui è la dimora e il rifugio prediletto per l’elaborazione di ogni nuovo progetto di Giovanni Lindo Ferretti). Cerreto viene così a rappresentare un po’ la storia di tantissimi campanili italiani nel Bel Paese, che è quella parte un po’ speciale d’Europa dove la cultura e il paesaggio hanno trovato una fusione di notevole interesse. Con questa iniziativa, infine, vorremmo imboccare un sentiero da percorrere e recuperare poi in molti modi: non solo invitando studiosi a conversare di D’Arzo e di Bertolucci nei loro paesi d’origine, Cerreto Alpi di Collagna e Casarola di Monchio delle Corti, tra l’altro entrambi appartenenti oggi al Parco nazionale dell’Appennino tosco- emiliano, ma, proseguendo un fantastico (ma mica tanto) dialogo tra lo scrittore e il poeta (si erano conosciuti, stimati e frequentati) potremmo anche pensare al profilo specifico di una letteratura appenninica. Intanto, ci è piaciuto ospitare non solo studiosi, ma anche le opere di pittori che hanno ridetto in disegni e colori le atmosfere e i personaggi dei suoi racconti e, infine, rivestire delle citazioni di D’Arzo, anche solo di alcune sue frasi, i muri di queste case, segnando un percorso attraverso il borgo che abbiamo voluto giustamente chiamare Pagine di Pietra.
D- E’, infatti, molto bella l’idea delle Pagine di pietra, i pannelli con le parole che in Casa d’altri ritraggono Cerreto, appesi ai muri delle case come fogli di romanzo, così come è stato fatto a Casarola con i versi di Bertolucci. Inoltre, come ha accennato Lei prima, è stato possibile vedere nel fienile di Giovanni Lindo Ferretti la collezione permanente di quadri dell’Istituto D’Arzo di Montecchio Emilia, che merita una visita anche solo per la triste, solitaria capra nell’aspro paesaggio serale di Nani Tedeschi.

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A REGGIONARRA NE’ MONTI IL 10 GIUGNO 2012 ERA IN SCENA D’ARZO
La classe 2Q Liceo linguistico, con la regia di Marina Coli, ha interpretato Il pinguino senza frac

Anche Reggionarra ne’ monti, alla sua quarta edizione, ha voluto ricordare Silvio D’Arzo, nell’anniversario della sua scomparsa.
La mia 2Q del Liceo linguistico Dall’Aglio, infatti, sotto la direzione di Marina Coli, ha proposto la lettura scenica di un racconto darziano tra i meno noti, Il pinguino senza frac.
Quello che abbiamo deciso di mettere in scena per questa importante kermesse, che vede tra i suoi promotori la “Casina dei bimbi”, è una favola indirizzata ai più piccini, ma che non disdegna un pubblico adulto. La storia parla del piccolo Limpo, troppo povero per avere come gli altri pinguini un frac, cosa per cui viene emarginato e non gli è concesso frequentare la scuola. Decide così di lasciare i genitori e cercare fortuna lontano da casa, straniero ovunque e senza nome, chiamato “Cosa sei” e “Tutto un po’”, da gabbiani, foche e trichechi, ai quali si offre per piccoli servizi, cercando al contempo di informarsi su tutto e ampliare le sue conoscenze in modo da non rimanere indietro rispetto ai compagni che intanto stanno ricevendo un’istruzione. Il suo percorso alla conoscenza lo porterà alla fine della sua avventura a scoprire che nessuno è esente dal dolore, nemmeno il feroce orso bianco, terrore di tutti gli animali, che i suoi piccoli vedono ucciso dai fucili degli uomini, e neppure l’uomo, che il mare in tempesta può inghiottire in un baleno: la morte accomuna tutte le creature e i figli dell’uomo hanno la medesima voce dei piccoli d’orso e degli altri, cioè il pianto, la voce del dolore e dell’abbandono. Dopo questa terribile scoperta, cioè che la fragilità e la provvisorietà sono una condizione necessaria, il pinguino sconvolto, fa ritorno, senza accorgersi di avere indosso un frac, “il più morbido e bello e distinto e elegante e lucente che fosse mai dato vedere”.
Tra tutti i racconti di D’Arzo, abbiamo scelto proprio questo per la sua brevità, e anche perché è uno dei più significativi, nonché il più affine al capolavoro Casa d’altri, sia per datazione (1948), ma soprattutto per tematica.
Nella fase preparatoria abbiamo dovuto operare una necessaria riduzione del testo, pur di suo già abbastanza stringato, per facilitare la fruizione della lettura scenica, ma fondamentale, in tal senso è stato l’apporto registico di Marina Coli, che con la sua esperienza e la sua creatività di attrice prima ancora che di regista, è riuscita a renderlo vivo, colorato e vibrante e accessibile anche ai più piccoli.
Significativa, a tal proposito, è stata la prova generale che abbiamo fatto davanti agli alunni delle classi quarte e quinte della scuola elementare La Pieve: i giovani spettatori, infatti, hanno seguito con grande attenzione la recita e sono riusciti a cogliere in profondità il senso del testo, dando così ragione all’autore e alla fiducia che aveva nelle capacità interpretative dei bambini.
Domenica 10, poi, come si è detto, c’è stato il debutto vero e proprio nel foyer del teatro Bismantova, e non, come invece era previsto, a piazza Peretti, a causa del forte vento. Il pubblico ha partecipato numeroso e i miei studenti- attori sono stati davvero bravi nell’interpretazione: vederli così professionali, così compresi nella parte, coi loro costumi scenici è stato un momento per me veramente commovente.
Al termine dello spettacolo, poi, si sono gentilmente fermati per condividere le loro impressioni e riflessioni.
E.B. -”Innanzitutto, siete riusciti a farvi un’idea dell’autore Silvio D’Arzo e della sua poetica? Anche a partire dal testo, sebbene non sia il suo più famoso e sia una favola per bambini?
Veronica- “Sì. Quello che nel racconto emerge in modo più evidente è il tema autobiografico della diversità. All’inizio della storia il pinguino (uno dei tanti doppi dell’autore) viene discriminato a causa della sua povertà: lui è senza frac e viene indicato, annusato, deriso dai compagni e il maestro rifiuta di averlo in classe. Poi, quando è in esilio, le foche e i trichechi non lo chiamano mai col suo nome, ma spregiativamente Cosa sei, Tutto un po’, Giù di lì. Alla fine, però, la sua diversità è di altro segno: è quella data dall’aver conseguito una consapevolezza esistenziale”.
E. B. – E sotto l’aspetto linguistico come l’avete trovato? Facile? Difficile?
Laura – “Sicuramente non facile, soprattutto se si pensa che i destinatari sono dei bambini”.
Sara G.- “Pure il significato non è immediato, anche se ieri, gli alunni delle scuole elementari, hanno dato prova di grande capacità di analisi e d’interpretazione”.
E.B. – Avete voglia di raccontarci come è stata questa esperienza?
Veronica- “Quando abbiamo saputo di partecipare al progetto legato a Reggionarra ne’ Monti, non avevamo idea di cosa fosse. All’inizio eravamo tutti un po’ scettici e con qualche perplessità, poi ci siamo avvicinati piano piano all’autore e al racconto durante le ore di Italiano, quindi abbiamo fatto degli incontri anche pomeridiani con Marina Coli, e abbiamo progressivamente cominciato ad entrare nella parte”.
E.B. – Come è stato lavorare con Marina Coli?
Veronica – “Marina è sicuramente una persona molto originale, estroversa, che sa fare il suo lavoro, e anche se a volte ci è sembrata un po’ rigida e dogmatica nell’interpretazione, sicuramente ci ha insegnato molto e i suoi consigli artistici sono stati davvero preziosi”.
Laura- “Secondo me, molto importante è stato il lavoro che ci ha fatto fare su noi stessi: ci ha insegnato a vincere le nostre paure, a liberarci della nostra timidezza. Ha saputo tirare fuori la nostra personalità, il nostro carattere”.
Simona- “E ha saputo individuare subito chi era adatto a interpretare una specifica parte dopo la lettura di sole poche righe”.
E.B. – E l’esperienza odierna di Reggionarra è stata come ve l’aspettavate?
2Q (in un sovrapporsi di voci) – “Se la prova generale che abbiamo fatto ieri davanti agli alunni delle elementari è stata davvero un’esperienza stimolante, oggi dobbiamo dire che siamo rimasti un po’ delusi: il cambio di sistemazione a causa del maltempo non è stato felice, soprattutto la scelta di collocarci nel foyer, dove c’era molta confusione, un brusio di sottofondo molto fastidioso, porte che continuamente si aprivano e si chiudevano e poi… ci aspettavamo molti più bambini, invece erano quasi tutti adulti”.
E.B. – Cosa vi ha lasciato questa esperienza?
Anna- “Per prima cosa è servita a farci conoscere meglio e a farci sentire molto più unite, rispetto, ad esempio, allo scorso anno scolastico”.
Sara G. – “Abbiamo imparato a tirar fuori il meglio dalle nostre prestazioni, ad essere più sicuri e consapevoli, ma, allo stesso tempo, anche a non prenderci troppo sul serio e a ridere dei nostri errori”.
Sara R.- “Per quanto mi riguarda, posso dire che questa esperienza mi ha invogliato a leggere di più, ad approfondire ed estendere le mie letture”.
E.B. – Se ve lo riproponessero l’anno prossimo, lo rifareste?
Tutti- “Sì!”
Veronica- “Anche se all’inizio ci lamentavamo un po’: ‘Troppi impegni, non ce la facciamo’, adesso siamo davvero contenti di aver partecipato”.
Anna e Laura- “La scuola, le materie di studio, i voti sono importanti, ma anche queste esperienze, che ci arricchiscono davvero. Pensiamo che tutti i progetti a cui abbiamo aderito quest’anno, non solo questo, ci abbiano fatti crescere e siano stati importanti per la nostra formazione”.

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