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Archive for Maggio 2016

 di Andrea Chesi

La domanda è sempre quella: “Prof, ma come fanno a piacerle questi cretini???”, quando in quinta, verso la fine dell’anno, comincio la mia lezioncina sulle avanguardie partendo dagli Skiantos.

E’ inutile, hai un bel da dire, per loro quei testi deliranti sono solo un conato un po’ scemo, grossolano, inutile…  vuoi mettere con il Liga?

Non che non ridano, anzi, si divertono da matti, direi quasi che il loro riso è quello eccessivo di chi in una cosa vede solo l’aspetto comico e liquida tutto sghignazzando.

E allora capisco quanto Roberto Freak Antoni , leader del gruppo, fosse davvero un marziano dadaista, un concentrato di sberleffi psichedelici sideralmente lontano dalla libertà obbligatoria, per dirla con un altro lunatico,  che è il tappeto rosso spianato davanti ai ragazzi di oggi (copyright Ramazzotti) che si arrabattano nell’idiozia  luccicante dei reality, dei talent, dei talk, delle Balivo, delle D’Urso e via nell’infinito del nulla.

Intendiamoci, il Freak sapeva benissimo di non avere inventato niente, ma era spregiudicato e sfrontato nel riproporre i modi delle avanguardie in una società inerte che infatti apprezza e addirittura mitizza Elio, la cui pseudocomicità artefatta è un prodotto perfetto per un certo tipo di utenza che si crede intelligente e raffinata…

FA AC 2

La sgangheratezza sublime degli Skiantos  è, consapevolmente, la caricatura di un linguaggio d’avanguardia  evocato con tenerezza, con nostalgia, da parte di chi in realtà ha ben poche illusioni e velleità di ricostruzioni futuriste dell’universo. Rimane, però, l’aspetto deflagratorio , corrosivo, agrodolce a scardinare i luoghi comuni e le ipocrisie più sottili (com’è difficile restare intelligenti quando c’è la nazionale dei cantanti…), le mitologie machistiche pullulanti nelle pubblicità (la voce di Stefano Accorsi, suadente al limite dell’ultrasuono, che magnifica la carrozzeria di un’automobile, i belli e impossibili che viaggiano in compagnia di gnocche da ufo). Il Freak sapeva farsene un baffo e queste cose le trattava per quello che sono, basterebbe un distico di endecasillabi  come questo, scemo fino alla soglia del genio: io spero di trovarne una carina|e di portarla in Vespa su in collina, a riassumerne la carica irrisoria e salutare, a misurare le boccate d’ossigeno che sapeva elargire la vena di questo Gran viaggione disperato e infaticabile, di cui ora più che mai, nel deserto di tronfiaggine dominato dall’arrivismo mediatico e dalla retorica dei tromboni, si sente il bisogno.

Andatevi a riascoltare, così, giusto per respirare meglio e cominciare a polmoni spiegati la giornata, certi classici intramontabili come Largo all’avanguardia, di cui si può dire che mai il non senso abbia avuto più significanza e bellezza (a me piace girare facendo dei giri non brevi ma lunghi… a me piace giocare facendo dei giochi ne ho pochi ma buoni…  a ma piace scoreggiare! Non mi devo vergognare, non c’ho niente da salvare! L’avanguardia alternativa non fa sconti comitiva, l’avanguardia è molto dura, e per questo fa paura!), oppure l’attacco folgorante di Eptadone, con quelle voci filtrate di adolescenti tossici che parlano di banane gigantesche e quell’unodueseinove sgangheratissimo che dà il via al riff frenetico di chitarra… fino alle più recenti  (sono veramente moltissime) come quell’atipica Io dentro, dall’album Doppia dose (due supposte in copertina), cinica e disperata nella sua sberleffante lucidità.

14022007-FREAK ANTÚNI-foto Nucci

14022007-FREAK ANTÚNI-foto Nucci

Insomma, il vuoto lasciato da questo ragazzo che faceva un vanto della propria bruttezza, che esibiva il suo pendente ombelico  e la pancia trasbordante, che si faceva fotografare in mutande e con le dita nel naso, è, per quanto mi riguarda, un vuoto lancinante, per questo, proprio in questi giorni (qualche giorno fa avrebbe compiuto sessantadue anni) abbiamo voluto ricordarlo.

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