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Archive for the ‘letture critiche’ Category

di Elisa Bondavalli

Si fa poca menzione, nei commenti all’opera di Silvio D’Arzo, della sua grande predilezione per Manzoni. Basti pensare, però, che, quando il reggiano fu trasferito a Barletta, per il servizio di leva, nello zaino aveva due libri dai quali non si separava mai: la Divina commedia I promessi sposi. Così, forse, non pare pretestuoso far risalire quel sentimento del pudore, che  contraddistingue in modo tanto singolare lo stile di  Casa d’altri,  all’influenza delle pagine manzoniane.

In particolare, poi, ci sembra interessante rileggere in quali termini Manzoni si sia discolpato da chi gli aveva rimproverato di avere messo poco amore nel suo libro. Una grande lezione. Che mai come oggi, dove, soprattutto al cinema e in letteratura, assistiamo all’abuso e alla saturazione della parola amore, andrebbe letta e meditata!

Di seguito le pagine dal Fermo e Lucia dell’edizione Einaudi a cura di L. Caretti, come le ha riproposte Dorotea Cotroneo nell’edizione Hoepli.

Manzoni e il sentimento del pudore

Manzoni, sentimento del pudore pag1.

Manzoni, sentimento del pudore pag1.

Manzoni, sentimento del pudore pag2.

Manzoni, sentimento del pudore pag2.

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La biblioteca Panizzi ha dedicato il pomeriggio del 25 ottobre a Corrado Costa (Neviano degli Arduini, Parma, 1929 – Reggio Emilia 1991), autore geniale di poesia, prosa, teatro, opere grafiche, nonché collaboratore, insieme agli amici del Mulino di Bazzano (Adriano Spatola, Giulia Niccolai, Nanni Balestrini, Patrizia Vicinelli…), di riviste letterarie, festival, e altre iniziative in una stagione di sperimentazione assai viva, tra gli anni Sessanta e Ottanta,
Il direttore, Giordano Gasparini, ha introdotto l’evento, sottolineando come l’archivio Costa, completo di tutta la produzione dello scrittore e ultimamente arricchito da 23 libri d’artista consultabili sulla biblioteca digitalizzata, sia frequentatissimo e pertanto si è dichiarato felice che da esso  abbiano preso le mosse interessanti e nuove pubblicazioni come quelle presentate in giornata.
I primi relatori sono stati Milli Graffi, direttrice de “il Verri” , Giovanni Anceschi (figlio di Luciano) e Gian Luca Picconi che  hanno illustrato il numero di giugno interamente dedicato al reggiano.

Giovanni Anceschi, Milli Graffi, Gian Luca Picconi

Giovanni Anceschi, Milli Graffi, Gian Luca Picconi

Milli Graffi: “Abbiamo preparato questo numero con grande entusiasmo e abbiamo ricevuto numerosissime proposte d’intervento da veramente tanti studiosi, segno importante della vitalità di questo scrittore”.
E’ toccato, però, a Picconi introdurre il volume e spiegare che  presenta materiale d’autore inedito o di difficile reperimento, compreso tra il 1954 e il 1980 e interventi critici, tra gli altri, di Nanni Balestrini, Luigi Ballerini, Milli Graffi, Eugenio Gazzola, Giovanni Anceschi, Giulia Niccolai.
Il materiale d’autore (anche inedito) con carrellata di quanto Costa aveva pubblicato su riviste in cui davvero si stava formando la nuova letteratura, da “malebolge” (con articolo-stroncatura della poesia di Pasolini, “L’auleta esibizionista”), a “Nuova corrente, a “il Caffè”, consente una storicizzazione interna dell’opera dello scrittore a partire dal lavoro teatrale del 1954, La Bambina perduta nel Carnevale, che ci mostra un Costa in qualche modo già ricco di umori palazzeschiani, laforguiani, e in un certo senso già patafisici. In più c’è anche il versante dell’opera grafica, di cui ricordiamo, soprattutto, la magnifica serie di vignette, Western mode retro, apparsa nel ’77 su “Alter Alter”. “L’approccio di questo numero del “Verri”, rispetto alla critica precedente” – ha sottolineato- “è nuovo perché cerca di far dialogare l’elemento della scrittura con quello della scrittura visuale in quanto Costa, situando il suo lavoro nella frattura che sussiste, come diceva Focault, tra referente e rappresentazione, non viene mai meno a un esercizio di nominazione antecedente l’opera grafica, anche se magari fallito”. Milli Graffi, infatti, conclude il suo intervento di analisi di alcuni enigmi grafici del reggiano, dicendo che lui rimane sostanzialmente un poeta della parola. Mentre Anceschi aggiunge che tra l’esperienza della scrittura e quella della poesia visuale, c’è l’ossessione dis-velare cosa c’è dietro (essendo quello del retro, uno dei temi fondamentali dell’opera costiana). Anche Giammei parla di artista che tenta di scomparire all’interno della sua produzione grafica e così pure Andrea Inglese, in “Cine-Costa”, ci parla del suo esercizio volto alla sparizione e distruzione del soggetto. Ci sono poi i saggi in cui l’opera dell’autore viene messa a confronto con la tradizione e la nuova avanguardia (Ballerini), con la post-avanguardia (Giovenale), dove ne viene analizzata l’evoluzione, da un primo periodo tragico, quello dello Pseudobaudelaire, fino all’approdo comico e alla logica del paradosso. Del suo paradosso particolare, però, simile a quello del mentitore e quindi fondato su una logica di autoreferenzialità (Berisso). Si aggiungono, inoltre, la divertente testimonianza di Aldo Tagliaferri e del suo viaggio in Libia col poeta e il dialogo estremamente interessante e inedito tra il Costa avvocato, che raccoglie intercettazioni, testi e verbali della polizia e il Costa poeta (Gazzola).
Dopo gli interventi della Graffi e di Anceschi, la parola è passata a Ivanna Rossi, autrice di Poesia oscura con presa. Leggere Corrado Costa. “Un reportage- come illustra la quarta di copertina- sul poeta e avvocato, che mette ordine in tutte le fughe, i nascondigli, gli introvabili piccoli editori, in quell’invisibilità che Costa, per una sua irriducibile coerenza, praticò sempre, sia nell’arte che nella vita”, in 15 capitoli che esplorano i luoghi costiani tra cui, importantissima, la Val d’Enza ma anche Cavriago, i suoi rapporti col gruppo 63, la sua passione per gli interessi popolari: l’enigmistica, i rebus, pure le canzonette. E anche i compagni di giochi, il suo viaggio in America, dove ha incontrato un poeta, John Thomas, allievo del maestro Suzuki (Lo zen e il tiro dell’arco) di cui resteranno tracce importanti nella sua poesia.

Ivanna Rossi

Ivanna Rossi mentre autografa il suo libro

L’ultimo intervento ha riguardato, invece, la ristampa per Benway series con traduzione in inglese de La sadisfazione letteraria, uscito per la prima volta nel 1976 per Cooperativa Scrittori. Ripubblicazione importantissima per un testo di cui da anni le librerie erano prive, che è stata possibile grazie al consenso della biblioteca reggiana. Si tratta di un racconto originale in più tappe che si presenta anche come un ironico e giocoso manifesto poetico-erotico sulla “scrittura che non vuole più riprodurre, né servire alla riproduzione” (del reale).
Per concludere, ci sembra che le parole che Picconi ha usato al termine del suo intervento, siano le più adatte per prendere provvisoriamente commiato da un artista così enigmatico e poliedrico che, ancora a distanza di molti anni, suscita interrogativi e volontà di indagarne l’opera sempre più a fondo. Un artista a cui la sua città resta sempre molto legata.
“Mi risulta difficile leggere o guardare un’opera di Costa – dice infatti – senza pensare a quanto quell’uomo dovesse essere simpatico, come mi hanno confermato le numerosissime testimonianze. E così, se è vero quanto scrive Ernesto Laclau nel suo libro La ragione populista, che ad un autore perché si inserisca in un canone letterario, sono necessarie quelle che lui chiama catene equivalenziali, quegli elementi affettivi, cioè, indispensabili a trovare una ricezione adeguata e una propria fortuna, in questo senso “il Verri” è un atto di affetto e di amore. Che cerca, da un lato, di solidificare Costa come autore, mentre dall’altro in qualche modo “tradisce” il suo progetto di letteratura che invece era quello di sminuire e indebolire la figura autoriale. In questo tradimento, cioè come abbiamo “tràdita” la figura di Costa, c’è un po’ il nostro segreto. A cui si unisce la consapevolezza che questo atto d’amore non sarebbe stato possibile senza quell’altro, grande, della biblioteca Panizzi a cui va un sentitissimo ringraziamento”.

1) Corrado Costa, immagine da La sadisfazione letteraria, Benway series: “… non resta altro, allora, che  oltraggiare la letteratura, cioè oltraggiare l’ideologia dominante della riproduzione…”

 Corrado Costa, immagini da La sadisfazione letteraria, Benway series.

2) Corrado Costa, immagine da La sadisfazione letteraria, Benway series:”Questa sì che è stata una bella giornata! Quella sì che è stata una bellissima cupa estate!”

 Corrado Costa, immagini da La sadisfazione letteraria, Benway series.

Sullo stesso autore, il mio Leggere Corrado Costa, oggi , pubblicato sulla rivista “MontePiano”, dicembre 2013.

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Gli ultimi anni
L’amore fu sentito da Comparoni come il raggiungimento della sua compiutezza di uomo e di scrittore, ma nel frattempo la malattia, la grave forma di leucemia di cui soffriva, si andava aggravando, provocando in lui uno stato di tale spossamento che anche lo scrivere diventava una fatica impossibile; scriveva, nel luglio 1951, all’amico Dasioli, dall’ospedale dove era ricoverato per delle trasfusioni: “… sono stanco: avrei molto da lavorare e non posso: le ore della sera, poi, sono interminabili, ed io non ho il minimo sospetto di come andrà a finire”. Ormai, sia gli amici che Ada sapevano che Ezio era condannato: rimaneva solo la speranza di poter ritardare la fine e alleviare il dolore lasciando Reggio Emilia, per un soggiorno a Tremosine e a Malcesine sul lago di Garda, benché, probabilmente, egli avesse perso ogni speranza di guarigione. Scrive, infatti, un amico dello scrittore, Alfredo Gianolio: “i medici, non lui, confidavano in un suo miglioramento per il cambiamento d’aria […]. Il soggiorno al lago non riesce, però, a rompere il muro di solitudine dietro il quale D’Arzo si era trincerato, anzi si fa più intenso quando rifiuta il cibo in un frenetico ricorso all’illusorio sollievo delle sigarette ed esige di tornare a Reggio al più presto, da sua madre”.2 Questo stato di cose appare ancora più chiaro dalle lettere che Degani, il compagno di villeggiatura dello scrittore, inviava ad una sua amica; in una lettera del 27 luglio 1951, descrive particolareggiatamente il tormento di Comparoni che soffre per il dolore fisico, ma soprattutto per la lontananza dalla madre, dalla quale non sopporta di essere separato: “Come ti ho già scritto domani dovremmo essere a Mezzolago. Ti dico dovremmo perché Comparoni voleva già tornare a Reggio. Qui non mangia perché dice che nulla gli sembra pulito se non è il mangiare che gli fa sua madre. Quando era soldato mangiava solo le cose che riceveva da casa! E neppure vuole comprare della roba nelle botteghe perché anche quello non lo trova pulito.” E, prosegue: “Comparoni non so se conclude qualcosa. Il primo giorno rimase in letto fino a mezzogiorno e fumò tutto il giorno invece di mangiare. Comprendo come un corpo sottoposto a questo regime finisca per ammalarsi. E anche ieri sera mentre ha mangiato un poco di minestra ed una puntina di carne sempre tutto senza toccare il pane, tra un boccone e l’altro continuava a fumare. Soffre dell’eccessivo amore che sua madre ha per lui tanto da non poter vivere come tutti”3.
Dall’ultima lettera ad Ada, del 23 agosto 1951, comprendiamo quanto ormai sia avanzato il decorso della malattia, anche se il tono dello scrittore è di una malinconia contenuta, senza disperazione o ribellione: “… mi sento realmente poco bene: in certe ore del giorno male addirittura: non esco quasi più, niente mi piace più […].”4
Morì pochi mesi dopo nel ricovero di Villa Ida, il 30 gennaio, a trentadue anni non ancora compiuti, per il linfogranuloma diagnosticatogli il febbraio dell’anno precedente. Negli ultimi suoi giorni Comparoni appariva, agli amici che andavano a trovarlo, totalmente immobilizzato dal male e la madre, sapendo che il figlio non avrebbe voluto essere visto in quelle condizioni, se ne stette fino alla sua morte fuori della stanza, seduta nel corridoio dell’ospedale, chiedendo notizie sul decorso della malattia a coloro che lo visitavano.
Ezio Comparoni fu sepolto nel cimitero monumentale della città e la madre, colpita da quel dolore immenso, continuò a vivere in funzione del figlio, adoperandosi perché fossero pubblicate le opere ancora inedite: solo lo sconfinato amore per Ezio le permise, infatti, di affrontare questa impresa. Nella prima lettera che inviò a Vallecchi, infatti, si legge lo sconforto di una donna senza speranze, esattamente come la Zelinda Icci di Casa d’altri: “[…] So che può comprendere il mio grande dolore, dolore che finirà colla mia insopportabile vita […] e così aspetto giorno per giorno la morte che mi liberi e che mi dia quella pace che in terra non potrò mai avere, glielo giuro che non ne posso più”5. Raggiunse il figlio dodici anni dopo. (altro…)

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