Ho accennato, in precedenza, alla somiglianza di una situazione presente nell’Essi pensano ad altro con certe soluzioni caratteristiche di alcune opere di Kafka. Lo stato del domandare, definizione che ho usato per descrivere il comportamento di Riccardo, è, nella narrativa kafkiana, la colpevole insistenza dei protagonisti, il loro argomentare per ottenere qualcosa cui non hanno diritto.
Anche la metafora della leggerezza, della rarefazione dei corpi è un’immagine di cui si serve lo scrittore praghese: in un brevissimo racconto dal titolo Il cavaliere del secchio, queste immagini vengono integrate e assimilate perfettamente alla storia.
La parabola è tutta soffusa di fumi invernali, e il cavaliere trotta e quasi galleggia sull’aria all’altezza dei primi piani delle case senza la possibilità di ancorarsi al suolo. Si ha veramente l’impressione che il cavaliere non esista o esista soltanto a metà. L’affannarsi estremo e disperato del cavaliere che reclama una palata di carbone è la traduzione narrativa e poetica dello stato del domandare. La sua richiesta viene appena udita ma nessuna risposta gli viene data. Domandare, infatti, per Kafka non ha senso, perché, come scrive l’autore del Processo nei Diari: …domande… che non rispondono a se stesse nel nascere non trovano mai risposte.
Il destino del cavaliere, perciò, non si può evolvere in alcun modo, egli, essere fluttuante privo di radici, resta come intrappolato nella trasparenza.
Nell’Essi pensano ad altro, come si è visto, Arseni e Riccardo vivono un dramma analogo. La loro diversità è ribadita di continuo, implicitamente o esplicitamente, quasi ad ogni pagina. Lo stato di emarginazione nel quale vivono è la realtà più evidente del libro. La condanna che subiscono è, come quella del cavaliere, d’essere relegati senza nessuna speranza di riscatto in uno spazio sottratto ad ogni possibilità di condivisione con gli altri uomini e, nel medesimo tempo, non elevabile alla dimensione di condizione esemplare e assoluta.
Oltre al capitolo relativo allo scontro fra Riccardo e Nemo, di cui ho già parlato, la scena del dialogo, situata nelle pagine finali del libro, fra il vecchio, il ragazzo e una donna alla quale i due si rivolgono per l’acquisto di un appartamento, costituisce un altro episodio significativo.
A causa dello strano comportamento del vecchio e del ragazzo, la donna assume un contegno di sottile diffidenza e ostilità, per cui possiamo dedurre molto facilmente quale sarà l’esito della trattativa. Si ha in effetti l’impressione che non esista nessuna possibilità di intesa, che il codice di comunicazione di Arseni sia irriducibile, esclusivo rispetto al mondo della donna, allo spazio comunitario della città al quale la donna appartiene. E’ importante, ancora, notare la chiarezza scrupolosa di Arseni, l’elenco – soltanto apparentemente sereno ma che in realtà denota una grandissima ansietà, come di chi intuisca remotamente un proprio invisibile peccato – che egli fa delle piccole e disperate condizioni che dovrebbero seguire l’affare concluso, che si rivelano pretese bizzarre, incompatibili, inaccettabili. In realtà tra i due protagonisti e la donna manca uno spazio da percorrere per passare dalla domanda alla risposta: esse ( domanda e risposta ) sono piani sfasati.
E’ lo stesso conflitto assurdo del cavaliere del secchio e di altri personaggi kafkiani, come lo descrive Kafka nei Diari: Perché è insensato domandare? Lamentarsi significa far domande e aspettare la risposta. Le domande però, che non rispondono a se stesse nel nascere non trovano mai risposta. Non ci sono distanze da superare. Assurdo quindi domandare e aspettare.
La colpa originale di Riccardo e Arseni, la loro diversità, come la loro richiesta, non ha senso, è un segno vuoto, estraneo a qualsiasi giustificazione che possa conferire un significato.
Il dialogo termina con le parole disperate di Arseni: – E’ fatta per starci bene – gridò Arseni dolorosamente – e per vivere in pace, senza liti, e per fare anche quello che si vuole… simili, nel tono amaro di irrimediabilità, alla frase gridata in ultimo dal cavaliere del secchio alla moglie del carbonaio: – Perfida! Ti ho chiesto una palata del più scadente e tu non me l’hai data… dove, in entrambi i casi, è evidente più di tutto il sentimento di una condanna definitiva.
La parte ottava fra una settimana
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Trascendenza, infanzia, rarefazione: Parte VII
23 aprile 2014 di Andrea Chesi
Ho accennato, in precedenza, alla somiglianza di una situazione presente nell’Essi pensano ad altro con certe soluzioni caratteristiche di alcune opere di Kafka. Lo stato del domandare, definizione che ho usato per descrivere il comportamento di Riccardo, è, nella narrativa kafkiana, la colpevole insistenza dei protagonisti, il loro argomentare per ottenere qualcosa cui non hanno diritto.
Anche la metafora della leggerezza, della rarefazione dei corpi è un’immagine di cui si serve lo scrittore praghese: in un brevissimo racconto dal titolo Il cavaliere del secchio, queste immagini vengono integrate e assimilate perfettamente alla storia.
La parabola è tutta soffusa di fumi invernali, e il cavaliere trotta e quasi galleggia sull’aria all’altezza dei primi piani delle case senza la possibilità di ancorarsi al suolo. Si ha veramente l’impressione che il cavaliere non esista o esista soltanto a metà. L’affannarsi estremo e disperato del cavaliere che reclama una palata di carbone è la traduzione narrativa e poetica dello stato del domandare. La sua richiesta viene appena udita ma nessuna risposta gli viene data. Domandare, infatti, per Kafka non ha senso, perché, come scrive l’autore del Processo nei Diari: …domande… che non rispondono a se stesse nel nascere non trovano mai risposte.
Il destino del cavaliere, perciò, non si può evolvere in alcun modo, egli, essere fluttuante privo di radici, resta come intrappolato nella trasparenza.
Nell’Essi pensano ad altro, come si è visto, Arseni e Riccardo vivono un dramma analogo. La loro diversità è ribadita di continuo, implicitamente o esplicitamente, quasi ad ogni pagina. Lo stato di emarginazione nel quale vivono è la realtà più evidente del libro. La condanna che subiscono è, come quella del cavaliere, d’essere relegati senza nessuna speranza di riscatto in uno spazio sottratto ad ogni possibilità di condivisione con gli altri uomini e, nel medesimo tempo, non elevabile alla dimensione di condizione esemplare e assoluta.
Oltre al capitolo relativo allo scontro fra Riccardo e Nemo, di cui ho già parlato, la scena del dialogo, situata nelle pagine finali del libro, fra il vecchio, il ragazzo e una donna alla quale i due si rivolgono per l’acquisto di un appartamento, costituisce un altro episodio significativo.
A causa dello strano comportamento del vecchio e del ragazzo, la donna assume un contegno di sottile diffidenza e ostilità, per cui possiamo dedurre molto facilmente quale sarà l’esito della trattativa. Si ha in effetti l’impressione che non esista nessuna possibilità di intesa, che il codice di comunicazione di Arseni sia irriducibile, esclusivo rispetto al mondo della donna, allo spazio comunitario della città al quale la donna appartiene. E’ importante, ancora, notare la chiarezza scrupolosa di Arseni, l’elenco – soltanto apparentemente sereno ma che in realtà denota una grandissima ansietà, come di chi intuisca remotamente un proprio invisibile peccato – che egli fa delle piccole e disperate condizioni che dovrebbero seguire l’affare concluso, che si rivelano pretese bizzarre, incompatibili, inaccettabili. In realtà tra i due protagonisti e la donna manca uno spazio da percorrere per passare dalla domanda alla risposta: esse ( domanda e risposta ) sono piani sfasati.
E’ lo stesso conflitto assurdo del cavaliere del secchio e di altri personaggi kafkiani, come lo descrive Kafka nei Diari: Perché è insensato domandare? Lamentarsi significa far domande e aspettare la risposta. Le domande però, che non rispondono a se stesse nel nascere non trovano mai risposta. Non ci sono distanze da superare. Assurdo quindi domandare e aspettare.
La colpa originale di Riccardo e Arseni, la loro diversità, come la loro richiesta, non ha senso, è un segno vuoto, estraneo a qualsiasi giustificazione che possa conferire un significato.
Il dialogo termina con le parole disperate di Arseni: – E’ fatta per starci bene – gridò Arseni dolorosamente – e per vivere in pace, senza liti, e per fare anche quello che si vuole… simili, nel tono amaro di irrimediabilità, alla frase gridata in ultimo dal cavaliere del secchio alla moglie del carbonaio: – Perfida! Ti ho chiesto una palata del più scadente e tu non me l’hai data… dove, in entrambi i casi, è evidente più di tutto il sentimento di una condanna definitiva.
La parte ottava fra una settimana
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